Cinema, un delitto molto imperfetto

CERCASI killer. Del cinema. ma non si sa dove cercarlo, tantomeno dove trovarlo. Forse tra le spore di quella palla chiodata come una mina subacquea chiamata Covid-19, forse nella stanza principale dell’ex Ministero del Beni Culturali – oggi tout court “della Cultura” – dove s’è certamente e platealmente manifestato un menefreghismo storico circa le sorti, appunto, del cinema.

Una volta si diceva: andiamo al cinema. Adesso si dice: andiamo sulla piattaforma. Una a caso, ma tutte uguali per appeal e sostanza dell’offerta tra film in anteprima, sguardi rétro e serie di reale spessore qualitativo, prevalentemente inglesi e americane perché quelle italiane restano da scuola elementare, senza insultare quest’ultima. Poi ci sarebbe da chiedersi il perché di tanto dilettantismo, ma è un’altra faccenda.

Qua ci infiliamo, invece, in un problema di linguaggio e di appropriatezza nei termini relativi a qualcosa che non esiste più – o almeno ha cessato temporaneamente di vivere, come nelle mitiche narrazioni catalettiche di Edgar Allan Poe. Il cinema appunto. Cui Covid e politica ministeriale hanno somministrato una pozione premortale.

Ma continuano a chiamarlo così, CINEMA. Perché, se le sale sono chiuse e non si sa se e quando riapriranno? Ancora troppo presto per celebrarne le esequie e creare un neologismo per definire la cosa che sta nascendo in riprovevole e pur riluttante forma ibrida? Vogliamo parlare di transazione visiva considerano il linguaggio à la page dello snobbissimo linguaggio del periodo e del relativo vuoto di contenuti?

Fatto sta che il cinema, a partire dal momento nel quale si consuma altrove rispetto al suo spazio elettivo, va chiamato in altro modo. Oggi passa attraverso l’imbuto della tv, a prescindere dal numero dei suoi  pollici e del suo essere variamente led nella selva di sigle e di sistemi riproduttivi dell’immagine. Quindi non è cinema ma televisione. Comunque. Perché viene consumato nello schermo televisivo, non su quello cinematografico per il quale è stato concepito. E diversa, per meglio dire agli antipodi,  ne è ovviamente la fruizione: in termini di attenzione e di continuità.

Dunque non chiamatelo cinema. Altrimenti lo svalutate, lo sfottete e lo oltraggiate. E stiamo parlando solo di appropriatezza linguistica e di fruizione. Perché se si affrontassero i temi della creatività e dei modi produttivo, distributivo ed economico finiremmo col discutere un intero sistema artistico e industriale. Vorremmo, magari, che le stesse domande se le ponesse il “killer”: senza peraltro avere, da parte nostra, la speranza che egli sia in grado di rispondere costruttivamente e concretamente.

(foto: il Ministro Dario Franceschini e una elaborazione del Covid-19)