La ragazza con il braccialetto, apoteosi del mistero

di Claudio Trionfera

LA RAGAZZA CON IL BRACCIALETTO – DRAMMATICO, FRANCIA, BELGIO, 96′ – Regìa di Stéphane Demoustier, con Melissa Guers, Roschdy Zem, Anaïs Demoustier, Chiara Mastroianni, Annie Mercier. Distribuzione Satine Film. 🍓 🍓🍓🍓⚪️

Melissa Guers è Lise, qua in una scena durante il processo (Foto Satine Film)

Quel braccialetto di Lise. Nel bel titolo che rimanda ai contenuti del film si penserebbe all’Orecchino di perla (o al Turbante, se preferite) dell’enigmatica giovine di Vermeer, invece, in modo assai meno ornamentale, il congegno è elettronico, da controllo giudiziario e in ottica di contenzione. Perché Lise (merita una capitolo a sé Melissa Guers che le dà recitazione, volto e senso cinematografico) è nei guai, da quando i gendarmi l’hanno prelevata dalla spiaggia di Bernerrie-en Retz nella Loira, dove passava spensierati momenti famigliari, per infilarla nel tunnel accusatorio dell’omicidio della sua migliore amica.

Stéphane Demoustier, regista e produttore francese 44enne di Lille. abbastanza noto in àmbiti di festival (Venezia, Berlino e da ultimo Locarno dove ha presentato tra molti consensi questo film vincitore anche di un premio César), riprende il filo dell’analogo spagnolo Acusada di Gonzalo Tobal elaborandone la sceneggiatura con un forte accento introspettivo, lasciando levitare uno straordinario dramma generazionale sotto la scorza del racconto processuale, dunque del genere giudiziario, attraverso l’andare misterioso della sua protagonista e il costante interrogativo che l’avvolge.

Roschdy Zem e Chiara Mastroianni genitori in ansia (Foto Satine Film)

Le sono accanto, in un classico esempio di protezione domestica, due genitori quali Bruno (Roschdy Zem) e Céline (Chiara Mastroianni) cui non mancano i supporti intellettuali per aprire fronti relazionali e affettivi con la figlia: senza che, tuttavia, queste loro prerogative contribuiscano a penetrarne davvero carattere e sentimenti. Perché il mistero che circola dentro Lisa e le ruota attorno resta inaccessibile e indecifrabile. Tragico, si direbbe, quasi come quei meravigliosi simboli di malessere giovanile che furono esemplari nel cinema francese degli anni Settanta e Ottanta (Agnès Varda e Robert Bresson, la svizzera Patricia Moraz di Les indiens sont encore loin e via così): ritrovandosi, in questa dimensione ansiogena e sospesa, i segni di un’età – dunque di un caotico passaggio esistenziale – ricoperta da uno strato opalescente e gelatinoso.

Anaïs Demoustier, il pubblico ministero (Foto Satine Film)

Durate il processo l’acerba Lisa appare ora ostile, ora indifesa, certo tenerissima, spesso indocile di fronte all’incalzare tignoso di un pubblico ministero (Anaïs Demoustier) dalla femminilità metallica, alle ragioni del suo avvocato difensore (Annie Mercier), alla partecipazione emotiva e devastata dei genitori. Perché in fondo alla strada, in questo tumultuario impatto di pianeti, c’è il seme dell’incomunicabilità fra generazioni diverse, padri/madri e figli, sistema e individuo, adulti illuminati e adolescenti trepidi e travagliati.

Innocente o colpevole? Alla fine poco importa, forse, della decisione della Corte. La ragazza potrebbe vestire entrambi i ruoli nel gioco dell’essenza e dell’apparenza, della verità e della finzione. Addirittura neppure lei stessa potrebbe leggersi in profondità o avere cognizione dei fatti, interprete di relazioni (in)consapevoli fra coetanei nelle loro scelta sociali, affettive, sessuali. Ecco il cinema dell’osservazione e dell’indifferenza, di profonda moralità ma anche di partecipazione commossa. E cinema del mistero nella doppia simbolica lettura di un coercitivo braccialetto elettronico e di una catenina che può tramutarsi in cavigliera e segno di appartenenza: un touch che il non rivelabile epilogo consegna allo spettatore a suggello di una bellissima, singolare, attuale e imprevedibile indagine sull’adolescenza.