La “Recherche” di Benedetto Simonelli

C’è perfino un po’ dell’Interstellar di Christopher Nolan nella sintesi temporale di Benedetto Simonelli. Il quale però non viaggia nell’iperspazio (piacerebbe chiamarlo ultraspazio) o attraversa buchi neri e non cerca ispirazioni distopiche ma resta coi piedi ben piantati sulla Terra. Anzi la percorre, la scava, la calpesta (ri)scoprendone la natura quadruplice aria-terra-acqua-fuoco lasciando però filtrare l’immanenza del Quinto Elemento: non quello collegato agli alieni biomeccanici e al Male Supremo nel film di Luc Besson ma al Tempo perduto, ritrovato, presente e futuro che diventa oggetto/soggetto di una Recherche tutta speciale, dilatata e misteriosa.

Questo autore/attore di prevalente presenza teatrale e più rade prove cinematografiche (https://genesione.wixite.com/benedettosimonelli), artista tout court e singolare, sorprendente regista di cinema, meglio dire,  forse, video-artista, è capace di suggerire ritmi nuovi  e sperimentare una diversa dinamica della visione tra tempo e spazio. Eppure il suo è un cinema di enorme, disarmante semplicità, sviluppato con uno stile scarno ed essenziale che si affida esclusivamente alle immagini, senza le possibili suggestioni o contaminazioni di una musica che pure strizzerebbe l’occhio alla fruizione emozionale. È un po’ l’insegna della pulizia, direi della purezza del segnale che l’artista vuole dare. Con una discrezione tutta privata.

“Interstellar” di Christopher Nolan e “Il Quinto Elemento” di Luc Besson

Trilogia del tempo e dell’esistenza

Radici, Genesi e Ánthropos sono i titoli delle opere di Simonelli, riconducibili ad una logica di trilogia, individuabile come tale per stile e contenuti (film visibili sul canale Youtube dell’autore: https://www.youtube.com/channel/UC3RxKi0gbECmjTophRIHYUA. Una trilogia dove l’autore non vuole, non può andare oltre la materia primordiale: riflette sull’impossibilità, se non sulla inutilità, di oltrepassare il confine primitivo delle cose quando ancora non si è approfondita l’essenza delle cose medesime. Chissà, forse un giorno questi tre film costituiranno davvero un piccolo unitario manifesto della percezione esistenzial-temporale nella sua identificazione con la Natura. Fatto sta che oggi non possiamo che apprezzarne, anche nello spessore della ricerca stilistica, un modello new underground (e perché no, anche new age) di fare cinema e arte riscoprendo tra l’altro le qualità uniche del Superotto nella resa immediata dell’immagine e del suo valore simbolico. Chiedere per conferme a Jonas Mekas, Stan Brakhage, Gregory Markopoulos del New American Cinema Group e a tutti gli altri che lo hanno usato non solo in suggestione sperimentale ma anche in termine funzionale rispetto all’esigenza di fare cinema oltre lo steccato economico: e parliamo di Pedro Almodovar, Brian De Palma, Abel Ferrara, David Lynch, Nanni Moretti, Emir Kusturica, George Romero, Dario Argento, insomma mica gente qualunque. Sia chiaro: né confronti né riferimenti diretti. Le citazioni restano indirette, non obbligate e solo illustrative nello spazio di un lavoro del tutto originale

Immagini dalla trilogia di Benedetto Simonelli

“Genesi” o della realtà interpretata

Ebbene sì. Incominciando a raccogliere il seme di queste esperienze visive, Genesi è lo spazio dove la realtà oggettiva e materica  si diversifica nella percezione individuale. Dunque viene “interpretata”. Si direbbe addirittura ri-creata attraverso la visione mediata dalla coscienza (e viceversa). Questo è il ridisegnarsi della materia, il nascere di una materia nuova del tutto diversa dalla sua stessa essenza: rimettendosi, nella pratica, in discussione. Sarebbe interessante, accanto al tema della percezione istantanea, verificare il ruolo della memoria, non solo relativamente alla “Coscienza nel Luogo nel Tempo”, cioè non legata propriamente al Luogo ma anche al modificarsi dell’oggetto stesso fissato nella memoria-coscienza. Tutto questo passando, ad esempio, attraverso un processo di sottrazione e di contrasto rispetto all’oggettività apparente (e inanimata) della fotografia o della stessa immagine filmica che restano immutate nel tempo col loro processo di impressioni istantanee e ripetitive nelle visioni successive: ma che, proprio attraverso il modificarsi degli stati di coscienza personale (e dei flussi di memoria intesi anche come stratificazioni di esperienze individuali) assumono differenti motivi di consapevolezza e di profondità.

Fatta questa digressione/deviazione, è appassionante il convergere nel reciproco contrario  dei concetti espressi nel titolo verso il comune modello di Creazione, si direbbe alla Ricerca dell’Archetipo in una sorta di universo parallelo (teoria che m’intriga assai) edificato su un diverso rapporto di conoscenza fra essere e materia, dunque tra la coscienza di sé e l’eterno divenire delle cose in una diversa concezione del tempo. È il tempo che ci attraversa o siamo noi ad attraversarlo?

Bel dilemma, da scavare proprio in questo periodo che rileggo con avido piacere la Recherche proustiana, con un pensiero ulteriore sulla memoria, le sue dinamiche e la sua funzione, tenendo presente che è la memoria stessa a modificarsi di continuo, quindi nella sua stessa inafferrabilità, nelle suggestioni del momento. Dunque il ricordo modifica senz’altro l’oggetto stesso del ricordo, dunque l’oggetto in sé, diversificandolo rispetto all’attimo nel quale è stato fissato nello spazio visivo. Ciò che noi crediamo di rammentare un modo preciso è già modificato dal sentimento provato nella fase mnemonica e prende varie strade, molto spesso quella della “nostalgia” (specie se riferito, in età più tarda, alla fase dell’infanzia), in altri casi quella del rifiuto quasi esorcizzante. Sempre e comunque negli spazi del mito. E della nuova “Genesi” della realtà.

“Radici”, corrispondenza sensitiva con la Natura

Ed ecco Radici. In apertura del quale, con accento di quieto lirismo, l’acqua (s)corre implacabile e paziente sul manufatto immoto. Fonte e fontana, vasca e pietra. La natura e la sua dinamica, la trasformazione nel moto della terra, le funzioni illimitate, l’utilità e la vita dell’uomo, infine. La funzione non è solo quella del dissetarsi ma anche di costituire parte essenziale e dominante della struttura fisica.

Sicché viene in mente, nella prima istanza, una sorta di affabulazione geo-metrica (da interpretarsi in tutta la sua estensione fonetico-concettuale) declinante in un diffuso lirismo. Già, perché l’inclinazione dell’autore, nel costruire la sua opera, rispetta l’esercizio di una creatività poetica che privilegia il modo percettivo rispetto all’acquisizione diretta. Sono, in definitiva, i principii stilistici cui Simonelli si attiene in una corrispondenza “sensitiva” con la natura, senza allontanarsi del realismo ma elaborando su questo la costruzione della sua immagine, magari della sua coscienza, di un divenire.

Tutto questo senza un intreccio, una trama, una storia, un suono nel percorso silenzioso attraverso lo spazio rupestre, alberi, prati, selci, sentieri petrosi.  Vita e natura respirano assieme. Il ciclo incessante della vita e della morte si riuniscono in un’unica funzione riproduttiva. Distanziazione, ma anche appartenenza. Del resto il film si muove costantemente su una doppia, addirittura tripla direttrice, spesso all’insegna di apparenti, ma convergenti, dicotomie. Che cos’altro sono, se non quote di solubili antagonismi, quei rilievi d’impressionismo e, a contrasto, quelle tracce di espressionismo? Oppure la risoluzione in termini di affinità fra le pieghe di naturalismo e verismo? Fatto sta, però, che l’artista guida e segue soprattutto se stesso: e il suo sogno di catturare il Luogo del Tempo e il Tempo del Luogo nella maniera più individualistica e originale possibili.

Scene dalla trilogia. Al centro Benedetto e Carmela Simonelli

I viaggiatori del Tempo illusionistico

D’altra parte il film e la sua stessa struttura fatta a “tasselli” di piani sequenza di lunghezza omogenea, incide con decisione (e precisione) sulle relazioni temporali e spaziali. Senza allontanarsi da una osservazione realistica ma elaborando su questa la sua stessa negazione: specchiando nel silenzio assoluto l’oggetto in sé, la distanza da questo – dunque dal suo significato – e la sospensione, appunto, temporale in ottica transitoria. Un ulteriore contradditorio vive su quei piani sequenza prodotti dall’inerzia dell’obiettivo ma animati, quasi distratti all’interno dell’inquadratura, dal movimento delle foglie appena sfiorate dal vento lieve, lasciando vibrare la scena di vita propria.

A solcare il campo visivo, ecco le figure umane, prima il Viaggiatore del/nel Tempo (l’autore medesimo) che attraversa gli spazi, appare e scompare lungo il cammino, a volte in una nebbia fantàsmica e illusionistica che, carica di sensi secondi, genera suggestioni; poi la Viaggiatrice che dell’artista è la figlia Carmela e pare ribadire le medesime strategie del cammino fino all’accensione di un fuoco rivelatore, fiamme e fumo a produrre la trasformazione di quella natura e quegli alberi in una diversa fase e  funzione del rapporto con l’uomo.

Non è il Franco Piavoli elegiaco di Pianeta azzurro, né il cinema esplorativo e indagatore dei grandi documentaristi. Simonelli elargisce un film rauco e poeticamente ruvido di matrice filosofica, un’intuizione autonoma e originale, senza etichette, fuori dalle appartenenze, lontana da vocazioni intellettualistiche, onesta e sobria, di disarmante semplicità nonostante la profondità e l’intimità della sua lettura che a tratti risponde a un certo sguardo tarkovskjiano . Diversamente dalla cifra più sperimentalistica di Genesi  con le sue immagini sporche, sgranate e accelerate,  Radici, se da una parte conferma l’autore in un sistema di videoarte, dall’altra lo proietta per forma e contenuti d’avant-garde nella dimensione estesa di un underground più che mai “new” votato alla diversa fruizione dell’effetto percettivo, incompatibile con le pratiche del cinema di consumo o della serialità televisiva e con ogni profilo di rappresentazione corrente.

“Ánthropos”, la Nascita e il Ricongiungimento

Lo stupore dell’occhio che riempie l’inquadratura di forme immaginarie eppure familiari. È il viaggio di El Abdul (attra)verso la purificazione di Ánthropos. El Abdul è l’ánthropos: l’archètipo, il primo essere dello gnosticismo o la rappresentazione dell’umanità intera? Fa differenza? Forse no, perché come recita l’introduzione “Oggi, El Abdul, in ascesa verso il suo Luogo, ha fatto una sosta al Fontanile per purificarsi. ui si è cosparso il corpo di argilla e, dopo aver attraversato la pura trasparenza dell’Acqua e la fiamma virulenta del Fuoco, ha raggiunto la luce del Sole e la incommensurabile profondità dello Spazio. Così evoca quotidianamente, nel corpo della Natura, il Momento infinitamente presente della Nascita. E del Ricongiungimento“.

Il piano sequenza viene scelto quale apoteosi dell’osservare, nell’opposizione apparente fra il tempo statico della macchina da presa in quanto oggetto puramente “tecnico” e quello in movimento della realtà osservata, fino al cortocircuito fra le due entità statica e dinamica, comprensibile e sfuggente. C’è una scena bellissima che inquadra, dal basso verso l’alto e in prospettiva perpendicolare, un varco centrale tra i rami e le foglie degli alberi. Un foro, quasi un ovale dove repente si insinua la luce del sole formando un occhio luminoso, allora la macchina da presa ne segue il raggio, dall’alto in basso, formulando una sorta condotto cilindrico sfolgorante, un passaggio per l’ascensione.

Altra scena carica di senso, la ricerca di forme antropomorfiche in un cumulonembo rosato e dorato all’ora del tramonto, col sole sull’orizzonte dall’altra parte, c’è ma non lo vediamo, sappiamo che c’è. Poi dalle nuvole l’obiettivo scivola ancora verso l’occhio luminoso del sole oltre il quale s’intuisce l’altrove e verso il quale tende la figura umana in desiderio d’ascensione. E nella serie di bellissime prospettive fotografiche si realizza la fusione ideale tra fisicità e spiritualità, quel “ricongiungimento” che non risponde a obblighi matematici ma solo al flusso universale e senza tempo della Natura. Forse l’Unico Assoluto di Schelling.