La terra dei figli, alla ricerca della parola perduta

di Claudio Trionfera

LA TERRA DEI FIGLI – DRAMMATICO, FANTASCIENZA, ITALIA, 121’ – Regìa di Claudio Cupellini. Con Leon De La Vallée, Paolo Pierobon, Maria Roveran, Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Fabrizio Ferracane,  Pippo Delbono, Maurizio Donadoni, Franco Ravera, Camillo Acanfora, Michelangelo Dalisi. Distribuzione 01 Distribution. 🍓🍓🍓⚪️⚪️

Leon De La Vallée e Valerio Mastandrea ne “La terra dei figli (Foto 01 Distribution)

Come un manoscritto nella bottiglia. Affidato agli oceani e ritrovato tanto tempo dopo. Messaggio importante, dal valore profetico e, insieme, testimoniale della propria epoca. Qua la bottiglia non c’è;  al posto dell’oceano staziona una palude  grigia, spettrale  e sterminata nella scena post apocalittica di un mondo violento, ammazzato da una imprecisata guerra e dai suoi “veleni”.

Però c’è il messaggio, scritto a mano in un quaderno-diario scritto dal Padre (nella parte Paolo Pierobon) del quale s’impossessa il Figlio quattrodicenne (Leon De La Vallée) – non ci sono nomi propri nella storia – dopo la morte del genitore prima di lasciare il suo rifugio acqueo e incominciare un viaggio iniziatico nell’ignoto: alla ricerca del “mondo fuori” e soprattutto di qualcuno che sappia leggere per capire chi fosse davvero suo padre e comprendere quali sentimenti nutrisse per lui al di là dei loro ruvidissimi rapporti.

Padre e Figlio: Paolo Pierobon e Leon De La Vallée (Foto 01 Distribution)

Probabile che quel “qualcuno” ci sia e gli disveli il segreto: in capo a un itinerario affollato d’incontri grotteschi e a volte mostruosi (tra i personaggi troviamo anche Valeria Golino nei panni della Strega e Valerio Mastandrea in quelli del Boia) prima che il suo futuro, forse, abbia il volto d’una ragazza strapazzata ma celeste chiamata Maria (Maria Roveran).

Dopo esperienze assai differenti e oscillanti tra un Alaska e alcuni Gomorra, Claudio Cupellini trova l’ispirazione ingegnosa e scabra fra dramma, solitudine cosmica e fantascienza nel suo paesaggio allucinato, putrefatto e mèta catastrofistico raccontato dalla fotografia lettiginosa di Gergely Poharnok. Perché sotto la semplice scorza narrativa e un (molto) vago rimando al The Road di John Hillcoat (più pertinente l’ispirazione al graphic novel omonimo di Gipo – ed. Coconico Press-Fandango) si nasconde un bell’apologo sulla Terra che non vorremmo lasciare ai figli (ma forse è già questa), sul valore sentimenti perduti, sul peso della parola scritta sulla carta contro il delirio del concetto virtuale, sul significato della memoria. Consiglio: da non perdere.