Mi chiedo quando ti mancherò: ecco la risposta

MI CHIEDO QUANDO TI MANCHERÒ – DRAMMATICO, ITALIA, 89’. Di Francesco Fei. Con Beatrice Grannò, Claudia Marsicano, Dragan Mishevski, Marusa Maier, Federica Fracassi, Riccardo Alemanni. Distribuzione Cinecittà Luce. 🍓🍓⚪️⚪️⚪️

Beatrice Grannò, giovane e brava protagonista del film (Foto Cinecittà Luce)

Di Claudio Trionfera

L’adipe eccessivo e la bulimia creano problemi, ovviamente. Ad Annabella (Beatrice Grannò)  anche di più. Perché ci si mettono il solito bullismo diffuso e soprattutto un’atroce beffa sentimentale. Tanto spietata e insopportabile da indurla a riempirsi di pasticche per farla finita.

Suicidio non riuscito, per sua fortuna, con successiva fuga da casa e dal suo mondo per concedersi uno sguardo diverso: finalmente dimagrita (e pure molto carina) ma con una compagna di viaggio di grandi dimensioni, Amanda (Claudia Marsicano), scomoda, rompiscatole,  ma per nulla reale poiché rappresenta solo la voce della sua coscienza, del suo passato, dei suoi complessi, delle sue ossessioni e delle sue paure.

Claudia Marsicano e Beatrice Grannò in una inquadratura (Foto Cinecittà Luce)

Capirete che la presenza è ingombrante. Un fantasma prototipo dell’(in)esistente del quale Amanda proverà a liberarsi, liberando in definitiva anche se stessa, magari con l’aiuto del giovane trapezista Rod (Dragan Mishevski) conosciuto nel circo dove, complice qualche notte di luna piena, riesce a trovare una seconda casa e una nuova dimensione.

Francesco Fei, alle prese col suo secondo film dopo Onde (2005) e documentari di matrice culturale, si rifà al libro della giornalista e scrittrice americana Amanda Davis (molto popolare nel suo paese, scomparsa nel 2017) per realizzare un’intrapresa cinematografica lodevole ma non troppo facile, poggiata sul montaggio e le sue scansioni temporali tra presente e flashback, una buona base musicale e una Beatrice Grannò divenuta scoperta convincente. Il costrutto nel complesso è abbastanza fioco e non troppo incisivo sul piano drammaturgico, anche se valido su quello psicologico. Col merito, comunque, di dribblare la naturale diffidenza che lo spettatore ha verso le localizzazioni circensi nel cinema, qua plausibili e non rifritte.