RaiTre, un posto all’ombra

D’ACCORDO, è solo una soap. E di questi tempi non è forse il tema più importante da discutere. Però è una soap che ha già superato il confine delle 5600 puntate e che, essendo nata nel 996 (fu ideata da Wayne Doyle con la collaborazione di Adam Bowen e Gino Ventriglia, con la collaborazione di Michele Zatta – regìa di Bruno De Paola, Marcantonio Graffeo), compie adesso 25 anni di militanza televisiva. In verità è la serie più stabile e persistente della televisione italiana che nella sua semplicità e leggerezza, coinvolge un pubblico molto vasto e fedele.

Vale la pena, a questo punto, di dire che Un posto al sole è prodotto da Rai Fiction, FremantleMedia Italia e Centro di produzione Rai di Napoli. E che la serie è, o dovrebbe essere considerata, un segmento di primo piano nella programmazione di RaiTre. Perché è importante questa citazione? Perché servirebbe di capire quale(i), fra questi soggetti, stia(no) decidendo sulla strategia autolesionistica, emorragica e quasi suicida di eliminare – temporaneamente o in maniera definitiva, non è dato di sapere – alcuni tra i personaggi chiave della storia. Con scelte/imposizioni di sceneggiatura piuttosto grottesche, tra sparizioni impreviste, decessi, presenze solo telefoniche e neppure vocali, partenze a lungo termine per cause di salute, cuore o lavoro.


Il logo della fiction. Nella foto di copertina, da sinistra e tra parentesi i nomi dei personaggi), le attrici e gli attori Nina Soldano (Marina Giordano), Germano Bellavia (Guido Del Bue), Maria Maurigi (Alex Parisi), Giorgio Borghetti  (Fabrizio Rosato), Lucio Allocca (Otello Testa), Claudia Ruffo (Angela Poggi)

Motivi più o meno ufficiali riporterebbero al budget, ai contratti da rinnovare, al cast da sfoltire, sempre per urgenze economiche. Alle diverse ipotesi potrebbero rispondere, facendo chiarezza, alcuni dirigenti come Franco De Mare (direttore di RaiTre), Gabriele Immirzi (AD di FremantleMedia Italia), Valeria Licurgo (responsabile di produzione FremantleMedia Italia), Lorenzo Mieli (presidente di FremantleMedia Italia), Maria Pia Ammirati (direttrice di Rai Fiction) o Fabrizio Salini (AD Rai nonché direttore a interim della stessa Rai Fiction).

Sembra insomma che la crisi, infilata un po’ in tutti gli angoli della vita d’Italia, colpisca pure un progetto tanto fortunato nella sua esecuzione. Certo, la cosa fa strano perché le televisioni – al di là delle loro propaggini di produzione cinematografica – restano un settore di intrattenimento poco sfiorato dall’infuriare pandèmico. Anzi, spesso da questo addirittura – e quasi paradossalmente – beneficiato attraverso il veicolo pubblicitario e l’inevitabile assorbimento di spettatori sottratti, tanto per citare qualche esempio, alle sale cinematografiche e ai teatri chiusi, ai ristoranti e ai pub che dopo le 18 tirano giù le saracinesche o al massimo foraggiano la clientela a domicilio, cioè dentro le case dove non resta di vedere altro che la televisione. Appunto.

Fa strano anche che RaiTre, la quale non brilla per vivacità di palinsesto, orienti le sue scelte altrove e non difenda una sua emissione di successo: soprattutto, guardando anche alla serialità scolastica,  lontana anni luce dal corrispondente prodotto americano, delle altre reti generaliste. L’interrogativo resterà probabilmente senza risposte, se non nelle pure e arbitrarie ipotesi di indicazioni strategiche avverse allo svago sentimentale e più inclini alle riflessioni cupe e rissose dei talkshow a sfondo politico (più recentemente politico-sanitario), a qualche sperimentazione di format degli esiti inconsistenti, perfino ad una fase preparatoria a possibili scenari elettoralistici con emissioni specifiche. Chissà. Dietro una logica televisiva spesso se ne nascondono altre. Non sempre a vantaggio dell’utenza.