Cinema, quegli “american graffiti”

La copertina. Immagine (anche in evidenza sul titolo in home page): “Ben-Hur: A Tale of Christ di Fred Niblo, produzione MGM girata a Roma fra il 1924 e il ’25. (Pictorial Press Ltd. – Alamy Photo Stock)

di Claudio Trionfera

Quasi una seduta spiritica. Non solo evocando fantasmi ma anche ricostruendo scenari industriali, richiamando dagli schermi immagini balenanti, rivisitando un immaginario collettivo un po’ stinto e seppiato ma efficace nella sua plausibilità storica. Federico Di Chio esplora con metodo molto rigoroso uno spazio che fino ad oggi, almeno a questo livello di profondità e di ampiezza, non era stato ancora visitato. Il cinema americano in Italia, insomma, non è soltanto una “presenza” ma il risultato di una strategia distributiva razionalmente programmata secondo precise logiche industriali e sociologiche, anche oltre il valore artistico dei film e dei generi di appartenenza. Ci si riferisce, ovviamente, alla prima parte – dalle origini alla Seconda Guerra Mondiale – di un viaggio che l’autore ha intrapreso tra le pieghe di un mercato complesso, troppo spesso liquidato con analisi superficiali e sbrigative.

Questo libro, in verità, va esplorato lentamente. Ovviamente non è fumetto né romanzo. Forse neppure saggio così come lo si intende in linea comune. Piuttosto è una (gigantesca) raccolta storico-cronologica di dati  ed eventi aggregati in una forma analitica profondamente riflessiva e avveduta. Impossibile in questo spazio inseguire i contenuti, come si dice, passo passo. La materia è talmente densa e compatta che ogni pagina diventa oggetto di studio oltre che di attenzione: mai in forma consuntiva, sempre in termini di indagine attenta e perfezionistica, spesso sorprendente nei concetti e nella loro sostanza di riferimento. Insomma un testo, insieme, di lettura e di consultazione. Dove si verifica che per il cinema d’America, in Italia, non tutto è stato subito facile. Anzi.

La marcia è stata lenta anche se, come d’uso con le macchine da guerra, inesorabile. All’inizio addirittura avventurosa. Già nei primi anni Dieci erano presenti le principali case americane del periodo e un bel numero di titoli, in prevalenza dei corti, distribuiti tuttavia da importatori europei, prevalentemente francesi (Pathé, Gaumont).  Il successivo sviluppo della rete di consumo, delle sale e dell’industria medesima ha fatto il resto, ovviamente: anche attraverso transizioni epocali come il passaggio dal muto al sonoro e le relative conseguenze a livello di fruizione. Dal musical al fantasy-horror, al biblico-storico, all’avventuroso e al western oltre i classici passaggi sentimentali si è assistito al trionfo dei generi, sebbene anche con implicazioni politiche a cavallo fra gli anni Venti e trenta e soprattutto nel corpo di questi ultimi.

Un’inquadratura dal film “All’Ovest niente di nuovo” di Lewis Milestone, 1930

Minor fortuna – eufemismo – ebbero all’epoca, salvo alcune eccezioni,  i film di genere bellico, là dove si esaltavano le virtù di eserciti “non italiani”: penalizzati al proposito non solo il cinema americano ma anche, ad esempio, il francese e l’inglese. Si pensi che tra le opere passate alla gogna ci fu anche All’Ovest niente di nuovo di Lewis Milestone che aveva vinto l’Oscar nel 1930, ripreso dal romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque uscito due anni prima, bocciato per le sue scene sanguinose e per quello che venne definito un “antimilitarismo disfattista”.

Il peggio, per così dire, sarebbe arrivato con l’avanzare degli anni Trenta verso il fatidico appuntamento con la Seconda Guerra Mondiale e le progressive restrizioni operate in Italia nei confronti della produzione estera, dunque pure quella cinematografica: se si pensa che nel ’34 Hollywood esportava da noi – con risultati fortunati  e gradimento del pubblico – tra il 25 e il 30% del proprio output di lungometraggi, si può comprendere la dimensione dello shock arrivato con il R.D.L. del settembre ’38 con l’istituzione del “Monopolio per l’acquisto, l’importazione e la distribuzione in Italia, possedimenti e colonie, dei filmi (sic) cinematografici provenienti dall’estero”. Una diga che provocò il ritiro dal mercato delle major: Warner, Paramount, 20th Century Fox e MGM. Anche se, come ci racconta questa ricerca straordinaria, gli schermi americani in Italia non si sarebbero mai spenti davvero, continuando a circolare con altre Case e volumi abbastanza importanti, almeno fino al 1942 quando i numeri ebbero a precipitare.

Studio unico nel suo genere, il libro di Di Chio rimane un imperdibile strumento di consultazione anche in prospettiva presente e futura. Racconta di economia e di industria oltre che di cinema, con i suoi grafici, il suo repertorio fotografico, il suo indice dei film, la sua bibliografia. E già è in grado di far riflettere sul cinema dell’oggi e sui suoi destini ancora incerti: anche senza una guerra evidente e convenzionale.

IL CINEMA AMERICANO IN ITALIA – Industria, società, immaginari – Dalle origini alla seconda guerra mondiale. Ed VP Vita e pensiero /  Ricerche media spettacolo processi culturali – 2021 (€ 25,00)