Fernaldo Di Giammatteo, cent’anni di gratitudine

di Claudio Trionfera

Fernaldo Di Giammatteo

FERNALDO, amico burbero e dolce. E collega, naturalmente. In questi giorni è il centenario della sua nascita che fu il 15 novembre del 1922. Parlavo di lui, giorni fa, con sua moglie Cristina Bragaglia, donna epica e costruttrice di cultura cinematografica all’Università di Bologna nonché inesausta fiancheggiatrice di un uomo capace di vivere l’esperienza critica in equidistanza tra disincanto e partecipazione febbrile. Se n’è andato da più di sette anni, alla fine di gennaio del 2005, ma è sempre stato intensamente presente in questo tempo. Il che pare una frase fatta e trasudante retorica ma, viceversa, è sintomo di un forte dato oggettivo oltre la verità sentimentale.

Relativamente a Fernaldo Di Giammatteo stiamo parlando di qualcosa di gigantesco che sarebbe perfino riduttivo riepilogare in questo piccolo affettuoso ricordo che gli dedichiamo. Insomma lasciamo perdere le freddezze biografiche. I suoi libri, i saggi, le semplici parole, la costruzione di un discorso cinematografico profondo e complesso sono l’immagine di un’opera da valutare in termini globali, come guida, riflessione, metodo. Un’opera cui la stessa Bragaglia ha dato impronta e lustro, co-firmando i Dizionari più importanti come il Nuovo Universale e quelli dei Capolavori, del Cinema italiano e del Cinema americano da Griffith a Tarantino.

Durante un’intervista nel 1967

Mai la valutazione togata o il compiacimento della severità. Nell’asciuttezza, direi nella semplicità scarna dello scrivere e del dire, Di Giammatteo si è mosso nel rispetto degli autori e dei generi, a nessuno negando – senza pregiudizi – l’opportunità nobile della citazione più elogiativa; o, al contrario, il giudizio tranchant magari frutto di un deluso tradimento di attese e curiosità frustrate. Periodare breve, idee chiare, la modestia di mostrarsi “testimone” essendo invece interprete e maestro fanno di Fernaldo un esempio che il tempo, come detto, non modifica, non graffia e non scarabocchia.

Fenomeno felicemente eversivo e destabilizzante. Così ha definito il cinema. Vorremmo che questa sua intuizione, prim’ancora che definizione, sia acquisita in tutta la sostanza che esprime. E che oggi, a maggior ragione e davanti a una “crisi” che a molti pare – un po’ troppo arrendevolmente – irreversibile, pare non solo consuntiva ma anche profetica. Perché c’è bisogno di cinema, di storie, di fantasie costruttive e in qualche modo alternative e, attraverso la sala, socializzanti. Grazie Fernaldo. Cent’anni di gratitudine.

CONSIGLI DI SCRITTURA (dalle lettere agli autori del“Il Castoro Cinema”)

“Odio i cinefili, non sopporto chi non sa scrivere, chi scrive oscuro, chi usa gerghi, chi non si prende la briga di spiegarsi semplicemente, chi non racconta pianamente le storie del film, chi si nasconde dietro l’autorità (e i crittogrammi) altrui, chi si abbandona ai piaceri dell’apologia, dell’entusiasmo, del delirio trionfalistico. Amo chi ha l’umiltà di trascrivere in termini accessibili anche i problemi critici più ardui”.

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“A me della seriosità non frega proprio niente. A me interessa la chiarezza e, insieme, il pepe dello stile: le due cose evitano la noia. Non tutti gli autori sono chiari, pochissimi hanno il pepe. Pazienza. Io ci provo, rompo i coglioni. Soprattutto con quelli che partono sicuri, baldanzosi, catafratti e arroganti. Perché di certo costoro sbagliano, se è lecito dirlo, in perfetta umiltà”.

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“Anche l’ordine è chiarezza e la chiarezza è il segreto dei buoni saggi”.

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“Ricorda il tono (semplice, accessibile), la necessaria scientificità del saggio (i film vanno analizzati a fondo, nei loro meccanismi narrativi e figurativi), gli indispensabili e puntuali riferimenti biografici, passo per passo nel corso del saggio, il quadro sociale e culturale […]. Tieni presente che tutti i termini specialistici e tutti i problemi critici vanno sempre spiegati, mai dati per noti”.

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“Quando capita fate cenno della recitazione, parlate degli attori che interpretano le parti maggiori, entrate un poco nel meccanismo del rapporto uomo-personaggio e sue tecniche”.

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“Quando leggo “attorno a film del calibro…”, mi appare il fantasma minaccioso del becero linguaggio degli intrattenitori televisivi e non posso non ribellarmi in nome della lingua italiana. Perché non scrivere “attorno a film dell’importanza, o del prestigio, o della fama”?”.

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“Ripulisci e semplifica ancora. Ma non per arrivare al giornalismo (che è un’altra cosa, genere diverso) ma alla saggistica “comunicativa”: scientifica e rigorosa d’impianto, leggibile (di lingua comune, non di metalinguaggio) di struttura. Non alla divulgazione. Nemmeno. Alla pura, ricca comunicazione”.

LA SUA BIOGRAFIA dalla Torino del ’22 in poi

Fernaldo Di Giammatteo nasce a Torino il 15 novembre 1922. Iscrittosi alla Facoltà di Lettere, è costretto a interrompere gli studi a causa della guerra. Alcuni suoi interventi sono però già apparsi nella rubrica di corrispondenza coi lettori del “nostromo” Francesco Pasinetti, su «Cinema».

Prigioniero dei tedeschi, dopo un anno riesce a scappare e a tornare a Torino, unendosi al movimento partigiano. Dal 1946 collabora, come cronista, al quotidiano «La Stampa», diventando professionista un anno dopo. E sicuramente questo “tirocinio giornalistico” è fondamentale per la formazione professionale e culturale del critico, che apprende un metodo semplice e diretto, arrivando a una sorta di personale – come l’ha definita in una lettera del 1983 – «saggistica “comunicativa”: scientifica e rigorosa d’impianto, leggibile (di lingua comune, non di metalinguaggio), di struttura». 

Nell’immediato dopoguerra cura l’antologia Essenza del film, contribuendo anche con un breve saggio: Il film a colori non è ancora nato. Nel 1948, con l’articolo La censura cinematografica ha inizio la collaborazione con «Bianco e Nero», che si protrarrà fino al 1976.

Nel 1951 inizia a lavorare per la RAI, ideando e curando cicli di trasmissioni radiofoniche e televisive sul cinema e, nel febbraio del 1952, fonda a Torino, con Giovanni Conso (poi ministro della Giustizia), il mensile «Rassegna del film», che ha solo 2 anni di vita ma che “lascia il segno”.

Poi, nel 1953, l’inevitabile trasferimento a Roma, dove inizia a collaborare più assiduamente con «Bianco e Nero», al tempo diretta da Luigi Chiarini, e con «Il Ponte».

È sempre negli anni ‘50, per le Edizioni Bianco e Nero, che traduce (e introduce in Italia) tre testi classici di teoria cinematografica: Documentario e realtà di John Grierson (1950), Teoria e tecnica della sceneggiatura di John Howard Lawson (1951) e Il film, evoluzione ed essenza di un’arte nuova di Béla Balázs (1952).

Nel 1957, con Giambattista Cavallaro, pubblica Un leone d’oro – Storia segreta della XVII Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, polemica “cronistoria” della Mostra di quell’anno, della cui commissione artistica faceva parte.  Inoltre progetta per Bianco e Nero il «Filmlexicon degli autori e delle opere», di cui patrocina e coordina i primi 7 volumi (dal 1958 al 1967), fino al completamento della sezione degli autori, mentre nel 1963 pubblica da Marsilio Cinema per un anno, trascrizione di una serie di (piuttosto polemiche) trasmissioni radiofoniche. Inizia poi una sporadica collaborazione con la «Rivista del Cinematografo».

Nel 1969, presidente Rossellini, Di Giammatteo diventa fino al 1975 vicepresidente del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Dal 1971 «Bianco e Nero» dedica numeri speciali ad autori e argomenti diversi: fascicoli con carattere monografico, coordinati, sempre fino al 1975, da Ammannati, Di Giammatteo e Rossellini, curando Lo scandalo Pasolini (n. 1-4 1976) e La controversia Visconti (n. 9-12 1976).

Nel gennaio del 1974 Di Giammatteo fonda, su invito di Sergio Piccioni, allora direttore della Nuova Italia, la collana di monografie su registi «Il Castoro Cinema», che dirige fino al 2002. La formula appare innovativa: ogni volume contiene un’intervista (o una raccolta di dichiarazioni), una “bio-monografia”, filmografia e note bibliografiche. La “rivista”, divenuta in breve uno strumento fondamentale per avvicinarsi a un particolare autore, viene così a colmare un vuoto nell’editoria italiana e mette alla prova una vera e propria schiera di giovani critici – da Giorgio Tinazzi (suo è il primo volume, dedicato ad Antonioni) ad Adelio Ferrero, da Enrico Ghezzi a Flavio De Bernardinis, da Sandro Bernardi a Franco La Polla a Marco Giusti. E dietro ogni numero s’intravede sempre, la presenza di Di Giammatteo, attento e severo nello sforzo di rendere omogeneo il complesso dei volumetti e di rispettare per quanto possibile la chiarezza e la lingua italiana.

L’attività del critico in TV e alla radio continua: nel corso degli anni ‘60 e ’70 lavora per la Televisione della Svizzera italiana, realizzando molti documentari (tra cui il noto Pier Paolo Pasolini: le confessioni di un poeta) e progetta e realizza programmi radiofonici per le reti RAI, in particolare per RAI International.

Nel 1978 pubblica per Mondadori Cento film da salvare, con la collaborazione di una giuria internazionale. Negli anni ‘80 continuano le collaborazioni con le riviste, da «Cult Movie» a «Segnocinema».

Nel 1982 fonda la Mediateca Regionale Toscana e ne è direttore fino al 1993. Si dedica anche all’insegnamento tenendo corsi di aggiornamento e lezioni in varie città italiane (da Firenze a Napoli, dall’Istituto Gramsci di Bologna all’Università di Reggio Emilia).

Nel 1984 pubblica per gli Editori Riuniti il Dizionario universale del cinema in 2 volumi, poi aggiornato, tra il 1994 e il 1996, in collaborazione con Cristina Bragaglia (Nuovo dizionario universale del cinema).

 Cura, per le Edizioni Oberon, il “dizionario di buone maniere e di cattivi pensieri” di Marlene Dietrich Il diavolo è donna (1984) e scrive il breve ma originale La terza età del cinema (1985), sempre per gli Editori Riuniti.

Del 1994 è Lo sguardo inquieto – Storia del cinema italiano (1940-1990) (La Nuova Italia). Quattro anni dopo esce Milestones – I trenta film che hanno segnato la storia del cinema (UTET), in cui il critico trova un “compromesso con la storia” e sceglie i “suoi trenta capolavori”. Nel 2001 cura per RAI Educational il programma Filmonamour – Lezioni di cinema (14 puntate imperniate sull’analisi del linguaggio filmico, sui problemi tecnici del film, etc.).

E infine la collaborazione con Bruno Mondadori, che pubblica nel 2002 Che cos’è il cinema, e nel 2004 l’ultimo Dizionario dei capolavori del cinema, scritto ancora una volta insieme a Cristina Bragaglia.

Fernaldo Di Giammatteo muore a Bologna il 30 gennaio 2005, a 82 anni.

(Si ringrazia Cristina Bragaglia che ci ha fornito i materiali relativi alle citazioni e alla biografia, nonché l’immagine principale di Fernaldo Di Giammatteo)