La Croce e la svastica: choc nel tempo ritrovato

LA CROCE E LA SVASTICA – Regìa di Giorgio Treves. Film di documentazione storica. Produz. Iterfilm, Rai Doc, Upside Television e Cinecittà Luce – Italia, Francia. Durata 104′. 😍

Un’inquadratura da “La Croce e la svastica” di Giorgio Treves (di spalle nella scena)

di Claudio Trionfera

QUANDO IL CINEMA fa la Storia. E viceversa. Con un autore rigoroso come Giorgio Treves e un progetto genuino e non banale. Insomma una bella ricostruzione: lineare, incisiva, emozionante di quanto accaduto negli anni neri, anzi nerissimi, della follia nazi-razzista.

Treves medesimo fa da guida, fisicamente e simbolicamente, in questa esplorazione del passato che, com’è ovvio, diventa indicazione e avvertimento per il presente: verso il quale, certo, non mancano riferimenti allarmanti.

Il tema è quello delle deportazioni di religiosi e fedeli all’epoca della più delirante espressione nazista. Proprio nel finale di questo fervido, viscerale e pur cupo viaggio, il regista osserva nella sua riflessione conclusiva come “della Shoah si sia detto molto ma delle sofferenze dei cattolici, dei testimoni di Geova, dei protestanti e degli ortodossi si sia mantenuto un lungo riserbo: per questo bisogna continuare a cercare bisogna adoperarsi e trovare gli ultimi testimoni. Senza dimenticare quello che è accaduto affinché non si ripeta mai più”.

Il regista Giorgio Treves ripreso nel film in biblioteca

Per arrivare a questo epilogo Treves attraversa più di trent’anni di Storia tedesca e oltrepassa i venti del vero e proprio nazionalsocialismo al potere: partendo da un’analisi approfondita su diversi livelli (politico, sociale, economico, morale) dei rapporti che hanno legato all’inizio il mondo cattolico e più in generale cristiano alle prime mosse del nazionalsocialismo. Motivi di convergenza laddove, naturalmente, la tirannia tedesca, osservata nel suo profilo storico e ideologico, non aveva ancora mostrato il suo vero volto dominante e sterminatore.

Disegnando la sua traccia drammatica netta e profonda, il film – riduttivo chiamarlo documentario, mai, comunque e orrendamente, docufilm – procede con un metodo “classico” ma assai incisivo con interviste e testimonianze raccolte e ben distribuite fra storici, sacerdoti, testimoni di Geova, ortodossi, sopravvissuti ai campi di sterminio e i rappresentanti delle categorie che furono coinvolte nella fase deportativa e perfino in alcuni casi di decapitazione. Nelle voci diverse anche quelle di attori come quelle di Margherita Buy, Massimo De Rossi e Stefano Dionisi; e di un autore illuminato come Volker Schlӧndorff.

Margherita Buy in una scena de “La Croce e la svastica”

Uno choc. Recepito non solo attraverso i molti interventi di protagonisti diretti e indiretti, ma anche nella ricostruzione di un delirio ideologico e di una diffusa contraffazione storica operata da un regime che recepiva le istanze del Cristianesimo depurandole dei contenuti del Vecchio Testamento proprio perché concepito dagli ebrei e in contrasto con la concezione antisemita di Alfred Rosenberg considerato, con Adolf Hitler medesimo, l’ideologo del partito nazista. Nel mirino, gli ebrei e i cristiani che ne avevano acquisito i contenuti. Nel frattempo la Chiesa, pur rendendosi conto delle tendenze (al momento) tutt’altro che accettabili del nazismo, non abbandonava il dialogo con un regime considerato un argine al comunismo a sua volta inteso come un male peggiore perché dichiarava esplicitamente la volontà di sradicare la religione.

Equilibrio precario: con quello stesso sistema politico che all’inizio considerava il Cristianesimo un valore fondamentale per il popolo tedesco, prima che le situazione degenerasse con la nascita dei Deutsche Christen, la nuova ideologia che guadagnò consensi con grande velocità nella sua opera di scardinamento dei valori della dottrina cristiana abolendo ogni traccia di ebraismo collocandosi in ottica protestante, antisemita e nazionalista.

Giorgio Treves alla guida nei territori della sua ricerca

I nazisti, nella loro visione, erano convinti che Gesù non fosse ebreo ma figlio di un commerciante germanico, di qui facendo discendere una lunga, tragica serie di conseguenze allungate nel tempo in una progressiva, inesorabile ottica persecutoria nei confronti di qualsiasi forma di associazionismo cattolico espressamente vietato dal regime e comunque non gradito allo stato tedesco: tutto portava all’obbligo per i cattolici ad abbandonare la loro fede e ad aderire a quella nazista.

Questa e altre importanti analisi per capire la dinamica delle successive deportazioni (dopo che la polizia nazista aveva creato un sistema parallelo a quello della Giustizia approdando all’apertura dei campi di concentramento e senza tacere di responsabilità e connivenze del clero cattolico di matrice austriaca e tedesca anche collocati nel resto d’Europa): brucia la citazione di Dachau dove furono raccolti circa tremila sacerdoti e preti, individuati dalle SS come nemici mortali. Sacerdoti, teologi e comuni credenti, molti di loro riuniti nel massacro. In quelle baracche preti protestanti cattolici ortodossi… tra loro ci furono molti morti ma per alcuni di loro fu anche un’occasione di apertura verso l’ecumenismo e a riconciliazione.

La locandina del film

Addirittura agghiacciante la pagina sulla Polonia presa quasi come laboratorio di operazione anticristiana e preparazione alla soluzione finale con la deportazione di massa di religiosi e religiose: quello doveva essere il primo territorio nel quale i disegni anticristiani del nazismo si sarebbero realizzati. Naturalmente la furia nazista non si fermò alla Polonia ma investì altri paesi, con altre deportazioni e altri martiri come avvenne anche nei Paesi Bassi con il restrellamento di un centinaio cattolici tra i quali padre Tito Brandsma che lo scorso 15 maggio Papa Francesco ha nominato santo in ricordo del suo martirio.

Analisi, cronaca, inserti cinematografici tra cronaca e finzione (si apprezzano gli inserti dal propagandistico Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl, 1935; dal Photodramma della Creazione, primo film realizzato dai testimoni di Geova nel 1914; dal film di montaggio L’Italia s’è desta di Domenico Paolella, 1947), le belle musiche di Lamberto Macchi, l’equilibrato rapporto con la sceneggiatura scritta dallo stesso Treves con Luca Scivoletto, la necessaria supervisione storica di Johan Chapoutot fanno di quest’opera, che vuole essere inchiesta e documentazione da conservare, un’esperienza di ricerca (e diffusione anche didattica) unica nel suo genere.