Il fantasma del cinema, il silenzio dei colpevoli

di Claudio Trionfera

LA SALA VUOTA, racconta Davide Ferrario sulla traccia torinese del Corriere della Sera. Magari non proprio vuota ma quasi. Ferrario racconta, meglio, verifica amaramente prendendo atto di una realtà innegabile, irrefutabile e (si spera nel prodigio) del non-irreversibile.

Non parlano solamente i registi e i fantasmi degli spettatori, piuttosto i fantasmi del cinema medesimo e delle molte sale chiuse per sempre. Lo fanno con i numeri che Cinetel, vale a dire l’organismo di controllo del botteghino, scodella crudelmente giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. E da quelle cifre si capisce l’entità della débâcle cinematografica. Il confronto resta plausibile se fatto fra gli stessi periodi del 2019, ultimo anno di “normalità” precovidiana e l’anno in corso, primo di supposta “normalità” postocovidiana. Per esempio il 2021 sta camminando su un incasso complessivo di 128.774.782 euro e 19.108.019 presenze. Nel 2019 furono incassati 548.850.837 euro con 84.585.769 presenze. Risparmiamo il conto delle assenze e ragioniamo sul fatto che il calcolo del rapporto di uno a tre a sfavore dell’epoca corrente è tutto sommato benevolo.

Senza pietà: quei numeri parlano da soli

Ci starebbe qualcosa di più ma meglio non infierire. Leggermente meno drammatico il confronto fra i due mesi di novembre: 31.654.148 euro e 4.670.917 spettatori in quello appena concluso, 59.280.239 euro e 9.065.093 spettatori in quello del 2019. L’ultimo dettaglio disponibile riguarda la giornata di martedì scorso (ieri per chi scrive) che contrappone i suoi 376.193 euro d’incasso con 66.445 presenze a 1.030.323 euro con 184.153 presenze allo stesso martedì del 2019.

Fate voi. Per fortuna Ferrario ha scritto su Corriere. E in molti, per il peso della testata, hanno valutato la faccenda. Preso atto, come si dice, di una verità. Speriamo soltanto che qualche cosiddetto vertice ministeriale o associativo non prenda a strillare appelli scoprendo solo adesso ciò che pare evidente da mesi e frutto di una scellerata strategia industriale che ha posto gli interessi dei player telefonici e dello streaming piattaformale davanti a quelli del consumo collettivo di cinema (coinvolti i soggetti di distributori, produttori, esercenti, spettatori), dunque di cultura.

Il destino del film che diventa “televisione”

Abbiamo già riflettuto qua, in passato, sull’alterazione di senso e di sostanza per il prodotto cinematografico, cioè quello destinato alla sala, costretto a modificare – anzitempo e contro la sua stessa natura – il proprio percorso lasciando il grande schermo per la tv più o meno smart e variamente dimensionata. Transazione mortale perché il cinema, nel momento stesso del suo manifestarsi alla tv, diventa televisione. Segno dominante del “mezzo”. Dispotismo mediatico. Prepotenza della rete. Fatale processo evolutivo.

Si dirà: nessuno ha colpe. Ma non è vero. In Italia le cose vanno (molto) peggio che altrove. E siccome nulla accade per caso, non c’è da essere dei complottisti per capire che forse qualcuno ha sbagliato, al di là della fede buona o mala. E si dovrà ragionare anche sull’atto dello “sbagliare” che presuppone appunto un’azione, una dinamica volontaria; e là dove non volontaria colpevole in ogni caso per manifesta incapacità.

Un hashtag pallido e un po’ beffardo

Qua il fantasma del cinema, là il silenzio dei colpevoli. Sono consentite le parafrasi citando da una parte Luis Buñuel e dall’altra Jonathan Demme (e il romanziere Thomas Harris), omaggi un po’ amari e assai obbligati in un quadro dove l’evidenza dell’errore “politico” sta guidando il pubblico verso il consumo domestico nel nome – e nel concetto mistificato – dell’evoluzione sociale post e parapandemica. Includendo, nell’analisi del naufragio pilotato dove il primo ad affondare è il cinema di qualità e d’autore, la pallida sostanza di certi slogan pateticamente augurali, con tanto di hashtag per fare social, della “grande iniziativa di rilancio” da parte dell’Anica (#soloalcinema): per scoprire che quel “solo al cinema” dura spesso quanto le rose, l’espace d’un matin, prima del travaso in piattaforma complici pure le finestre di programmazione cancellate. Solo al cinema e cinema lasciato solo. Sorrentino docet. Esercenti arrabbiati: ma contano ancora qualcosa?