Il quaderno nero dell’amore. Senza amore

di Claudio Trionfera

IL QUADERNO NERO DELL’AMORE – DRAMMATICO, ITALIA, 101’ – Di Marilù S. Manzini. Con Emilia Verginelli, Michele Cesari, Martina Palmitesta, Giulia Di Quilio, Pier Maria Cecchini, Carmen Giardina, Roberto Calabrese. 😐

Da sinistra: Martina Palmitesta, Emilia Verginelli e Michele Cesari (Foto Europictures Distribuzione)

IL QUADERNO NERO è senza sfumature. Monocromo e basta. Un libro nero nella sua comune accezione di lista dedicata al “nemico”, solo un po’ più piccolo. Un quaderno, appunto. Il libro, invece, è quello di Marilù S. Manzini, scrittrice di successo oltre fotografa, scultrice e pittrice. Oggi, dunque, anche regista e naturalmente sceneggiatrice (con Luca Biglione e Francesca Demichelis) del film che ha tratto dal suo romanzo omonimo editato da Rizzoli, terzo di cinque in una carriera letteraria cominciata vent’anni fa con Bambola di cera.

Un’artista a tutto tondo, di certo interessante e naturalmente intelligente. Che qua, trasferendo al cinema una storia di confessioni erotiche sotto forma di “gioco”, riflette appunto sull’amore (che non c’è) e sul sesso trascritto su un quaderno-diario dove solo i numeri (degli atti sessuali e della votazione che meritano) hanno un senso. La vera protagonista narrante è una, Mavi (Emilia Verginelli) e s’accompagna con gli altri due personaggi, Riccardo (Michele Cesari) e Paola (Martina Palmitesta). Ciascuno, per volere di Mavi che s’inventa il gioco del quaderno, si racconta e racconta su quelle pagine le proprie esperienze: sesso e non solo, desiderii e misfatti, in un multiforme campionario di situazioni. Con una zona segreta e allusiva, all’interno di quel diario, che forse è nella testa della protagonista (nei suoi “cassetti”, come quelli nei quali conserva gli indumenti di chi la incrocia e che lei  ama annusare conservandone le fragranze) come lascia trapelare lo psicologo (Pier Maria Cecchini) che la segue e la disvela nella ricerca di una dimensione più interiore delle sue problematiche.

Marilù S. Manzini porta il suo romanzo al cinema (Foto Europictures Distribuzione, Marilù S. Manzini)

Se ne trae uno sguardo ostile, vendicativo e rancoroso verso i (non)sentimenti che spesso governano l’azione dei personaggi, affidata in estetica teatrale a una gestualità plastica e alla costanza ruvida del linguaggio diretto: all’interno di ambienti asettici e astratti di una Milano annoiata, sboccata e snobbetta dove Mavi, “collezionista di odori ed emozioni viziosa e immorale” risolve l’impraticabilità dei sentimenti e della loro persistenza all’interno dei rapporti. Prospettiva fosca e rarefatta d’incomunicabilità sottolineata da una recitazione che trova nel distanziamento e nello straniamento la sua cifra più logica; ma che, pure inserita nella densa e funzionale fotografia dell’ottimo Fabio Zamarion, riesce raramente a trapassare la barriera dello schermo e a trasferire la pagina scritta in un compiuto racconto per immagini.