Io rimango qui. Cioè no

CÀPITA. Che una ragazza abbia un fidanzatino più o meno ufficiale e che un giorno incontri un altro giovanotto, magari proprio agli antipodi del suo ragazzo; e che, complice un evento imprevisto, decida di cambiare tutto della propria vita, spendendone quel che resta nella ricerca di una nuova dimensione e di un nuovo “vedere”.

Succede questo, grosso modo, a Steffi (l’attrice Sinje Irslinger), ragazza protagonista di Io rimango qui (dal 20 maggio in sala) che appena diplomata si dà il premio di partire per Parigi col suo ragazzo Fabian (Jonas Holdenrieder) e colà amarlo pragmaticamente per la prima volta. Ma la casualità di un visita medica le consegna una sentenza crudele sulla salute con relativa, ridottissima, aspettativa di vita.

Sinje Irslinger nella parte di Steffi in un’inquadratura del film

Forse c’è bisogno di una novità deconcentrante e ricreativa: che prende il volto dello spericolato Steve (Max Hubacher), motociclista acrobatico nel circo del padre e che, fulminato a prima vista dalla bellezza ancora acerba di Steffi, la convince senza troppa fatica a partire con lui per un viaggio pur sempre diretto a Parigi (siamo in Germania) ma di tutt’altro piglio rispetto a quello che la ragazza aveva programmato col fidanzato. Perché questa, anche metaforicamente, è una fuga dalla realtà e dal destino: a bordo di un pickup vintage Ford Revell Ranger,pronta a prendere una piega diversa e un po’ ansiogena quando Steve scopre la patologia della sua compagna. I genitori della quale (Heike Makatsch la madre Eva, Til Schweiger il padre Frank), allarmati dalla scomparsa, inseguono la coppia ricostruendone cammino e le tappe con l’intento di riacciuffarla, nondimeno preoccupati per la salute della figlia.

Max Hubaker e Sinje Irslinger in “Io rimango qui”

Finale senza lacrime, per fortuna, nonostante la fosca prospettiva. In un film che il regista André Erkau, tedesco di Dortmund, 52 anni, da noi poco noto ma con un cospicuo curriculum di televisione e cinema, dirige con una certa delicatezza, seguendo le orme di un genere neoromantico del quale evita abilmente le trappole ipersentimentali.

Tratto da una storia vera – ce ne sono molte così, purtroppo – il racconto cresce col proprio trascorrere, nei termini di una favola a volte un po’ illogica nelle sue pieghe di viaggio irrazionale, piena di incontri, tatuaggi e tenerezze, stampata su una bella fotografia dorata (di Torster Breuen) e accompagnata da un certo struggimento musicale fatto di musiche acconce e deviazioni di body dance elettronica. Tutto un po’ esile ma carico di emozioni buone, nell’ensemble di un dramma adolescenziale in quel mondo fatto di solitudini.  Perché di solitudine c’è anche quella del giovanotto acrobata innamorato perso d’una ragazza tenera, bionda e senza speranza con la quale intraprende la sua corsa verso l’ignoto.

(Crediti fotografici Notorious Pictures)