LIGABUE, Rock N Roll Can Never Die…

Luciano Ligabue a Campovolo, foto © Jarno Iotti

LIGABUE 30 ANNI IN UN GIORNO – Regìa di Marco Salom. Con (special guest) Loredana Bertè, Francesco De Gregori, Eugenio Finardi, Gazzelle, Mauro Pagani, Elisa; (il Gruppo) Federico Poggipollini, Niccolò Bossini,
Massimiliano Cottafavi, Luciano Luisi, Davide Pezzin, Ivano Zanotti; (ClanDestino) Massimiliano Cottafavi,
Gianfranco Fornaciari, Giovanni Marani, Mirko Consolini, Luigi Cavalli Cocchi; Claudio Maioli; Marco Ligabue. Una produzione Friends&Partners e Riservarossa in collaborazione con Vision Distribution presentata da Marco Belardi. Film biografico e documentario, Italia, Distribuzione Vision. Durata 117′.

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ROBA FORTE. Di rock, gilet di pelle nera, stivaletti e metallo, jeans, chitarre ed emozioni elettriche. Ti chiedi che cos’è il rock e quasi non c’è risposta perché la musica non si prende tutto il piatto ma lascia molte altre sostanze alla fantasia, al modo di vivere e a un sostrato, più che un sobborgo,  di cultura ultrapop votata ai concetti di inversione e di mutabilità. Per il momento, di sicuro, c’è solo il fatto che il rock’n’roll non può morire, Rock N Roll Can Never Die sul filo nostalgico e perduto di Neil Young. Così è.

Campovolo in panoramica dal palco (foto © Jarno Iotti)

Che c’entra, in tutto questo Luciano Ligabue? Specie quel Ligabue-Liga affiorante da questo film che gli viene dedicato, oltre che costruito addosso, del quale egli diventa icona, artefice, naturalmente protagonista. 30 anni in un giorno parte dall’evento Campovolo 2022. Il concerto del trentennale, appunto. Il luogo mitico, “roba sua, di Luciano”, come racconta Claudio Maioli cui la definizione di manager non solo va stretta ma pare anche – e perfino – deviante rispetto alla complessità e alla totalità del suo essere creativo accanto a Liga. Che c’entra? – si diceva. C’entra perché Luciano Ligabue rappresenta a modo suo quell’essere-rock che appartiene a una generazione e a una maniera d’intendere l’esistenza in cifra (pur) ruvidamente pacifista, sentimentale, consapevole, anticonformista, sfrontatamente e inestricabilmente sonora.

Tutto questo il film trasmette. Attraverso l’immagine di una factory vivente e prosperante sul contributo collettivo dei musicisti e delle loro idee, nonché del loro talento. Il presente, assai seduttivo, posa sul concerto e sui pezzi che l’uno dopo l’altro promuovono vibrazioni fomentanti sulle note più celebrate e celebrative. Ma c’è il passato, con le sue immagini filmate, le sue foto, i suoi ricordi a raccontare un trentennio che diventa la prima ragione del film sospeso tra biografia e documento.

Luciano Ligabue (foto © Jarno Iotti)

Poi c’è il passato che ritorna: anche nelle interviste alla sorgente delle band che lo hanno accompagnato in carriera e alle guest star che invece lo hanno affiancato prima, durante e dopo il concerto di Campovolo. Un diluvio di affetti, di ammirazione e di stima. Senza ricordare tutte le parole dette, resta denso e potente l’incontro con Loredana Bertè e sollecita riflessioni importanti il racconto di Claudio Maioli amico, manager e stratega; di fraterno vero e biologico c’è invece il contributo di Marco Ligabue mentre il costrutto musicale e, in un certo senso strutturale, arriva dalle parole dei musicisti presenti e trascorsi, capaci di edificare con Ligabue un intero, personalissimo panorama stilistico.

Da questo film ben girato, finemente fotografato (da Daniele Poli) e intelligentemente montato (da Matteo Cataldo) nascono spunti diversi e tutti molto validi: il rispetto e il loro accudimento, quasi un marchio di fabbrica della factory, riflesso di quella sorta di Liga-pensiero che approda ad una scelta musicale autonoma e molto italiana, nonostante l’occhio sulle Stelle d’America sia sempre vigile nelle dimensioni di una inspirazione inconsciamente e positivamente influenzata: tanto da lasciar scaturire un gusto e un’espressione sempre originali e riconoscibili.

E c’è la campagna: verde e bruna e luminescente nel Pianoro Padano. Di qua Modena, di là Reggio dell’Emilia, al centro(anche metaforicamente) Correggio, cuore pulsante e motore della musica dove tutto nasce, le note si intrecciano, le corde delle chitarre vibrano, le ritmiche governano gli effetti sonori sui quali si stende la vocalità di Luciano e le sue storie raccontate a strofe. Se si vuole – e si deve volere – quel Ligabue e la sua chitarra ripresi tra i rotoloni di fieno, resta un’icona: un po’ ironica e un po’ evocativa di una ispirazione realmente country trascolorata in vibrazioni di un rock che graffia e che accarezza.

Infine, una raccomandazione, per chi riesca a leggerla durante la programmazione dell’evento in sala (20 21 e 22 marzo): quest’opera che considero importante, merita di esser vista al cinema. Chi si accontenta di fruizione alternative, può godere lo stesso. Ma così così.