Marx può aspettare, la dolce ghost story di Marco Bellocchio

di Claudio Trionfera

MARX PUÒ ASPETTARE – DRAMMATICO, DOCUMENTARIO, ITALIA, 100’. Regìa di Marco Bellocchio. Distribuzione 01 Distribution. 🍓🍓🍓🍓⚪️

La famiglia Bellocchio riunita nel film (Foto 01 Distribution)

GHOST STORY. L’idea introduttiva, anzi l’Idea, era quella raccontata nel prologo: “Il 16 dicembre 2016 Letizia, Pier Giorgio, Maria Luisa, Alberto ed io, Marco, le sorelle e i fratelli Bellocchio superstiti ci riunimmo, con mogli, figli e nipoti al Circolo dell’Unione a Piacenza per festeggiare vari compleanni. Io avevo organizzato il pranzo con l’idea di fare un film sulla mia famiglia, ma non avevo ancora le idee chiare. Non sapevo che cosa volevo esattamente fare. In realtà lo scopo era un altro… Fare un film su Camillo, l’angelo, il protagonista di questa storia”.

Sicché un pranzo di famiglia. E il dopo. Con tutti i parenti, età facce espressioni differenti. Nel cuore di Piacenza. Un mondo. Pure con tante anime culturali diverse, lo si sente dall’odore del film, che rimescola terre padane, souvenirs de dimanches à la campagne degli schermi  francesi e cento altre sfumature capaci di attraversare contemporaneamente festosità, tenerezza e malinconia. Bel modo di dissodare il cinema così come lo si consuma nel suo abituale assetto narrativo; perfino di sottrarlo, almeno per adesso, alle grinfie delle piattaforme vista la provvidenziale uscita in sala. Regolare. Addirittura in contemporanea col Festival di Cannes che pare resuscitato da un sepolcro e inviare scenografie di un’altra epoca.

Camillo e Marco Bellocchio in “Marx può aspettare” (Foto 01 Distribution)

A Cannes Marco Bellocchio, autore di questo singolare, genuino, coraggioso e spiazzante Marx può aspettare ritira una rarità come la Palma d’Onore, giusto dieci anni dopo il Leone d’Oro alla carriera che gli diede la Mostra di Venezia. E intanto dispensa un film vestito di documentario che, per via della sua intimità e profondità di assillo a momenti perfino prossima al precipizio, diventa tutt’altro: probabilmente uno studio, un’analisi (anche auto), in definitiva una recherche. Del gemello perduto e di se stesso, dei proprii tormenti, delle radici del proprio cinema, almeno di una buona parte di questo.

Camillo. Fratello gemello di Marco.  Suicida il 27 dicembre del 1968, anno fatidico. Che spiega il titolo con la risposta di Camillo a suo fratello infervorato dagli echi rivoluzionari di un’epoca capace di guardare alla domanda collettiva senza avvedersi di quella individuale. Di Camillo, per esempio, del suo malessere e della sua silenziosa, educata richiesta di aiuto. “Marx può attendere”. In famiglia, a quanto pare, c’era un’altra priorità. Furono le ultime parole che Camillo disse al fratello. 

“Marx può aspettare” (Foto 01 Distribution)

Così il film, attraversando gli spessori dei suoi personaggi raccolti sul set naturale di risonanze domestiche, vive di parole e di memoria, depositando la tragedia quasi al suo epilogo ma solo in termini di cronologia narrativa: perché l’elemento fantàsmico di Camillo alita fin dall’inizio, con l’amore, la docilità e lo sguardo remoto di chi, forse, sente di non essere stato capito fino in fondo e non aver partecipato come avrebbe voluto o dovuto alle cose di famiglia.

Quella tragedia genera una forma di ripensamento sul dolore di chi è rimasto in vita. I fratelli. E lo sforzo collettivo di nascondere la verità alla madre. Finzione obbligata e ulteriore forma di rappresentazione che esaspera  il lutto anziché elaborarlo. Anche oggi, anche nell’immagine allo specchio che il cineasta vuole fissare in questo film. Una confessione a se stesso e una ricognizione di sponde famigliari in cerca d’aiuto e di luce. Oltre l’evidenza, che Bellocchio dichiara e a momenti squaderna con la prova delle immagini e di intere scene rivelatrici, di una filmografia tanto riferita al suo gemello infranto, mai rimosso nei rimpianti e nei pentimenti.  Ma si sa, quasi sempre il cinema è frutto di sogni, percezioni e ossessioni individuali che i suoi autori costituiscono in forma di labirinto. Offrendosi volentieri alla psicoanalisi.

Marco e Camillo nella loro infanzia (Foto 01 Distribution)

Perciò, dopo tanto (glorioso) vagare da una storia all’altra, Bellocchio affronta il tema in un altro modo, molto diretto, per nulla autoreferenziale. E gira un film di fantasmi. Celebrando quello di Camillo e restituendogli vita in una dimensione metafisica, esoterica e quasi northern. Poi si pensa anche alle suggestioni spettrali del cinema e della cultura classici giapponesi, lune pallide e mondi fluttuanti. Per non parlare di Ingmar Bergman e dei suoi specchi. Un’evocazione, allora, non una commemorazione.  Mica un horror, certo: ma una storia ghost  rotonda e sentimentale, con la presenza di quel ragazzo dall’espressione antica e forse primigenia, rimandata da vecchie foto in bianco e nero – album vivente – quale frutto di un richiamo alla vita più che di una sepoltura definitiva.

Bellocchio, che sorpresa.