Quella generazione sospesa. E “low cost”

GENERAZIONE LOW COST – Regìa di  Julie Lecoustre, Emmanuel Marre. Con Adèle Exarchopoulos, Alexandre Perrier (II), Mara Taquin, Jonathon Sawdon. Drammatico, commedia. Belgio, Francia. Uscita al cinema 12 maggio. Distribuzione I Wonder Pictures. Durata 110’. 🍓🍓🍓⚪️⚪️

Adèle Exarchopoulos in una scena di “Generazione low cost” (foto I Wonder Pictures)

di Claudio Trionfera

QUANTI SIMBOLI. Almeno nel titolo italiano, oltre i contenuti del racconto. Perché il titolo originale, Rien à foutre, che potrebbe essere non solo chissenefrega ma anche la variante multipla di una parolaccia d’invito, è diretto come una sberla. Proprio come il racconto che si sviluppa attorno alla figura della giovane Cassandre (recita nella sua parte la graziosa e quotatissima Adèle Exarchopoulos, di sicuro una delle attrici del momento), prima assistente di volo, poi responsabile di cabina in voli low cost, col sogno di una migrazione professionale che la porti in una compagnia top e con i (ri)morsi tutti interiori d’un incidente stradale che, lei lontana per lavoro, ha da poco ucciso sua madre.

Il film vive nella cronaca quotidiana della vita di Cassandre, un volo dopo l’altro, gli intervalli in discoteca, in una camera d’albergo, in giro per le strade di qualche città del mondo, nell’uso intensivo dello smartphone e relativi social, nel pieno di una sbronza o a letto con qualche uomo tra i tanti incontrati qua e là per un sesso opaco e transitante. Senza che queste tracce si strutturino in una storia vera e propria, legando una scena all’altra nel montaggio che s’intuisce cronologico  e orizzontale ma non “narrativo” in senso stretto e tradizionale.

Adèle Exarchopoulos nel film di Julie Lecoustre e Emmanuel Marre (foto I Wondere Pictures

Insomma un ritratto. Stimolante e mai superficiale. Ispirato a quattro mani dai registi Julie Lecoustre e Emmanuel Marre con l’ausilio dell’ottimo operatore Olivier Boonjing e sviluppato tecnicamente con una macchina da presa mobile in stile documentario, secco, asciutto, quasi da reportage volutamente imperfetto che pare mutuato dai modi del 16mm. A descrivere una vita di straniamento meccanico dove la risposta dominante è “forse” nel corso di un’esperienza di viaggio dove si vede tanta gente ma non ci si ferma mai e non si conosce veramente un posto o una persona. In una sorta di solitudine tragica accentuata dall’uso di quella mdp fissa sulla protagonista: di fronte, di fianco, di spalle fra primi piani e totali.  A scavare nelle tracce di reattività di una ragazza forse in fuga da se stessa.

L’impianto si appoggia tutto sul quotidiano e lascia poco spazio alla fantasia nel suo apparato totalmente realistico e nella recitazione addirittura quasi naturalistica ma carica di straniamento nella rappresentazione di un personaggio e di una vita sospesi: proprio come un aeroplano perennemente in volo. Senza un prima e senza un dopo, in un film dove succede tutto e niente ma quel tutto pare pesante come in macigni contro i quali s’è schiantata l’automobile con la madre di Cassandre.